USUCAPIONE - POSSESSO - COLTIVAZIONE FONDO - Cass. civ. Sez. II Ord., 03-07-2018, n. 17376

USUCAPIONE - POSSESSO - COLTIVAZIONE FONDO - Cass. civ. Sez. II Ord., 03-07-2018, n. 17376

Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell'usucapione - il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva - la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l'intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta "uti dominus"; l'interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso. 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3796 del 2017, proposto da

S.C. s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Arturo Umberto Meo, con domicilio eletto presso lo studio A. Placidi s.r.l. in Roma, via Barnaba Tortolini n. 30;

contro

Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Rosaria Palma, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Poli n. 29;

Commissario ad acta per l'Attuazione del Piano di Rientro Sanitario della Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici legalmente domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

Azienda S.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonio Nardone, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Stefano Gagliardi in Roma, via F.S. Nitti n. 11;

sul ricorso numero di registro generale 532 del 2018, proposto da

S.C. s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Arturo Umberto Meo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini n. 30;

contro

Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Tiziana Taglialatela, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l'Ufficio di Rappresentanza della Regione Campania in Roma, via Poli n. 29;

Azienda S.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonio Nardone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Stefano Gagliardi in Roma, via F.S. Nitti n. 11;

Commissario ad acta per l'Attuazione del Piano di Rientro Sanitario della Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici legalmente domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per la riforma

quanto al ricorso n. 3796 del 2017:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 05142/2016, resa tra le parti

quanto al ricorso n. 532 del 2018:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Prima) n. 02924/2017, resa tra le parti

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania, del Commissario ad acta per l'Attuazione del Piano di Rientro Sanitario della Regione Campania e dell'Azienda S.L.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 giugno 2018 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli Avvocati Arturo Umberto Meo, Alberto Della Fontana su delega di Antonio Nardone, Giuseppe Calabrese su delega di Tiziana Taglialatela e l'Avvocato dello Stato Attilio Barbieri;

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con il ricorso n. 8332/2001, proposto dinanzi al T.A.R. Campania ed integrato da successivi motivi aggiunti, l'odierna appellante STATIC Centro di F. - Chiroterapia della Campania s.r.l. impugnava gli atti con i quali l'ASL Napoli 1 Centro aveva contestato l'esecuzione di prestazioni "overcom" per gli anni 2000 e 2001 nelle branche di Radiologia diagnostica e di Terapia fisica, Terapia respiratoria, Riabilitazione e procedure correlate (c.d. F.), nonché addebitato importi percepiti a titolo di corrispettivo delle prestazioni anzidette, unitamente agli atti con i quali la Regione Campania aveva escluso i chiroterapisti dalle figure professionali utili ai fini del calcolo della capacità operativa massima (c.o.m.) nei settori della riabilitazione.

Nel definire in senso reiettivo, con la appellata sentenza n. 2924/2017, la proposta domanda di annullamento, il T.A.R. evidenziava essenzialmente, con riferimento alle censure concernenti le prestazioni di F., l'estraneità dei chiropratici alle risorse personali suscettibili di concorrere, alla stregua della delibera di G.R. n. 377 del 3 febbraio 1998, alla definizione della capacità operativa massima, cui rapportare il numero di prestazioni erogabili dalla struttura a carico del S.S.N., mentre, relativamente alla branca di Radiologia diagnostica, accertava l'insussistenza degli errori di calcolo predicati dalla parte ricorrente.

Infine, il T.A.R. declinava la giurisdizione relativamente alla domanda intesa ad accertare l'indebito arricchimento di cui si era avvantaggiata l'Amministrazione e la sussistenza della fattispecie compensativa.

Con il successivo ricorso n. 5618/2005, la società STATIC si rivolgeva nuovamente al T.A.R. Campania al fine di impugnare i provvedimenti con i quali la ASL Napoli 1 aveva proceduto al recupero, nei confronti delle strutture accreditate, delle somme corrispondenti alle prestazioni erogate nel periodo 1998/2002 in misura ritenuta eccedente la c.o.m., sul presupposto della inapplicabilità, nel caso di specie, della sanatoria di cui alla DGRC n. 1270/2003.

Il ricorso veniva definito dal T.A.R., in senso reiettivo, con la sentenza n. 5142/2016, la cui motivazione veniva in larga misura ripresa dalla successiva, ed in precedenza menzionata, sentenza n. 2924/2017.

Mediante i motivi di appello proposti avverso le citate sentenze, che in questa sede possono essere esaminati congiuntamente anche in considerazione della necessità di riunione degli appelli suindicati, siccome soggettivamente ed oggettivamente connessi, la società STATIC censurava analiticamente le argomentazioni poste dal T.A.R. a fondamento delle sentenze di rigetto, chiedendo l'accoglimento dei ricorsi (e dei motivi aggiunti) originari.

Si sono costituiti in giudizio, per opporsi all'accoglimento degli appelli, la Regione Campania, la ASL Napoli 1 ed il Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario della Regione Campania.

Con il primo motivo di appello proposto avverso la sentenza n. 5142/2016, viene lamentato che il giudice di primo grado, nonostante il carattere pregiudiziale del giudizio introdotto con il ricorso n. 8332/2001, ha omesso di disporre la sospensione del (successivo) giudizio instaurato con il ricorso n. 5618/2005: sospensione che si sarebbe resa necessaria per il fatto che, al fine di valutare la legittimità del recupero, occorreva risolvere le questioni concernenti la determinazione della c.o.m..

Il motivo non è meritevole di accoglimento, atteso che la riunione dei giudizi, sebbene disposta solo nel presente grado di appello, consente di esaminare le questioni sollevate con i ricorsi suindicati nel rispetto dell'ordine logico-giuridico che, secondo la prospettazione attorea, le avvince.

Con il primo motivo dell'appello rivolto avverso la sentenza n. 2924/2017, invece, viene dedotto che il T.A.R. è incorso nel vizio di ultra-petizione, avendo fondato la pronuncia di rigetto del ricorso su un thema decidendum - quello attinente alla rilevanza giuridica dei chiropratici - estraneo alle allegazioni delle parti, non avendo la ASL mai contestata, essendosi questa limitata ad affermare che tali figure non potrebbero essere computate nel calcolo della c.o.m. in quanto non menzionate espressamente dalla delibera di G.R. della Campania n. 377/1998.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Il principale nucleo argomentativo della sentenza appellata non si fonda, infatti, sulla assoluta (ed a qualunque effetto di legge) "irrilevanza giuridica" dell'attività dei chiropratici, ma sul principio in base al quale "non è consentito all'amministrazione sanitaria riconoscere ad un centro una c.o.m. implementata che sia fondata su elementi e requisiti non presenti nella disciplina generale", così come vincolativamente delineata, appunto, dalla menzionata delibera di G.R. n. 377/1998.

Il T.A.R., in altre parole, a prescindere dalla rilevanza che le prestazioni eseguite dai chiropratici possono assumere in altri settori dell'ordinamento e nell'ambito di diversi rapporti giuridici, ha affermato che, non essendo le stesse contemplate dai criteri generali cui deve uniformarsi la determinazione della c.o.m. di ogni singola struttura provvisoriamente accreditata, non può generare, a carico dell'Amministrazione sanitaria, un corrispondente obbligo remunerativo.

Deduce ancora la parte appellante, con diverso ma collegato motivo formulato con l'appello n. 532/2018, che, mediante il verbale del 14 aprile 2000, il Dipartimento dell'assistenza riabilitativa della ASL NA1 stabiliva il calcolo delle ore alla data del 31.12.1997 per un totale di 422 ore settimanali: pertanto, l'istruttoria avrebbe dovuto completarsi mediante l'attribuzione alla appellante della corrispondente c.o.m., ovvero il numero delle prestazioni erogabili dalla struttura sanitaria, comprensiva della figura dei dottori in chiroterapia, ma, poiché ciò non è mai avvenuto, essa aggiunge, è dimostrato che il procedimento di definizione della c.o.m. non si è mai concluso, facendo venire meno il presupposto per l'esercizio dell'attività di recupero contestata con il ricorso di primo grado.

La censura non è meritevole di accoglimento.

Premesso che la stessa parte appellante esclude che la sua pretesa (alla integrale remunerazione delle prestazioni erogate avvalendosi del personale chiropratico) si fondi su una struttura organizzativa - e su una corrispondente capacità produttiva - potenziata rispetto a quella esistente alla data del 31 dicembre 1997, rilevante ai sensi della delibera di G.R. n. 377/1998 ai fini della determinazione della c.o.m. delle strutture operanti nel regime di provvisorio accreditamento, deve osservarsi che l'assetto regolativo fissato con la delibera citata si fonda, sul piano procedimentale, sulla autodichiarazione da parte del centro interessato dei requisiti organizzativi posseduti a quella data, cui consegue il "diritto" a erogare un certo numero di prestazioni annue, parametrato ai requisiti posseduti al 31 dicembre 1997 (ciò a differenza di quanto accade per ogni successivo aumento della capacità operativa massima, per effetto dell'implementazione dei mezzi strumentali, cui, secondo l'interpretazione giurisprudenziale più diffusa, corrisponde un mero interesse legittimo all'adeguamento della c.o.m., suscettibile di soddisfacimento solo all'esito di un favorevole apprezzamento valutativo discrezionale dell'Amministrazione).

Consegue dai rilievi svolti che, così come, ai fini della remunerazione delle prestazioni erogate dal centro provvisoriamente accreditato, non si rende necessario alcun espresso "riconoscimento formale" della c.o.m. esistente alla data del 31 dicembre 1997, parallelamente, l'assenza di alcun provvedimento determinativo della c.o.m. non precludeva all'Amministrazione di procedere al recupero degli importi corrisposti sine titulo (rectius, in carenza di una corrispondente c.o.m. determinata secondo i criteri generali dettati dalla Delib. n. 377 del 1998).

In tale contesto ricostruttivo, il fatto che, con verbale del 14 aprile 2000, il Dipartimento dell'assistenza riabilitativa della ASL NA1 abbia stabilito il calcolo delle ore alla data del 31 dicembre 1997 per un totale di 422 ore settimanali, comprendendovi anche le prestazioni dei chiropratici, non assume rilievo ai fini della determinazione di una corrispondente c.o.m., atteso che il suddetto verbale, non essendovi indicato il numero di prestazioni erogabili, assume rilevanza meramente certificativa della dotazione di personale del centro appellante, la cui rilevanza tuttavia, ai fini della definizione della c.o.m. assumibile a legittimo e vincolante riferimento in sede di remunerazione delle prestazioni, non poteva che essere determinata in cogente applicazione dei criteri fissati dalla citata Delib. n. 377 del 1998.

Questa infatti ha lo scopo di regolamentare, sia pure provvisoriamente, la quantità e la qualità delle prestazioni erogabili da parte delle strutture private provvisoriamente accreditate, stabilendo, per ciascuna branca ivi contemplata, i carichi di lavoro massimi erogabili da ogni struttura, parametrati alla organizzazione tecnologica, alla dotazione strutturale e ai coefficienti di personale (superficie dei locali, attrezzature, numero dei dipendenti) posseduti alla data del 31.12.1997, perseguendo, in tal modo, l'obiettivo di contingentamento e di contenimento della spesa pubblica.

Osserva ancora la parte appellante, con entrambi gli appelli, che essa ha sottoscritto nel 2005 un verbale con la ASL, con il quale l'Amministrazione, a far data dal 2003, riconosce i chiropratici nel calcolo della c.o.m., sebbene senza specificare quante prestazioni potesse erogare il chiropratico: deduce quindi che,

poiché l'organizzazione posseduta è sempre stata la stessa, se al 2003 i chiropratici rientrano correttamente nel calcolo della c.o.m., la stessa organizzazione non può essere disconosciuta

per il periodo pregresso, oggetto della presente controversia.

La deduzione non è meritevole di accoglimento.

Deve preliminarmente osservarsi che la nota della ASL Napoli 1 del 1 febbraio 2005, cui fa riferimento la parte appellante, nel richiamare il verbale della Commissione ex delibera di G.R. n. 1272/2003, con il quale viene riconosciuta al centro una c.o.m. di n. 163.392 prestazioni, "comprensive dell'attività dei chiropratici, a partire dall'anno 2003", fa espressamente riferimento alle "variazioni quali-quantitative avvenute": ciò coerentemente con lo scopo della richiamata delibera di G.R. n. 1272/2003, consistente nell'adeguamento della c.o.m. "documentata alla data del 31 dicembre 2002", al fine di "tenere conto degli aggiornamenti intervenuti dal 1998 ad oggi".

Sostiene la parte appellante che, nella specie, non si è trattato di implementare una capacità operativa massima diversa e maggiore di quella preesistente (alla data del 31 dicembre 1997) ed oggetto di autocertificazione, per cui, essendo la stessa rimasta immutata, si tratterebbe solo di valutarla correttamente, conformemente alla rilevanza giuridica riconosciuta dall'ordinamento all'attività dei chiropratici: sì che, da questo punto di vista, non avrebbero alcuna plausibile giustificazione le difformi valutazioni espresse dall'Amministrazione, laddove ha disconosciuto le prestazioni dei chiropratici per gli anni oggetto di controversia (2000 e 2001), ammettendone invece la remunerabilità per il 2003.

Rileva in proposito il Collegio, in primo luogo, che il provvedimento suindicato, nel far derivare la riconosciuta c.o.m. dalle "variazioni quali-quantitative avvenute" dal 1998 nell'organizzazione del centro appellante, assume una intrinseca portata dispositiva, laddove circoscrive il riconoscimento della corrispondente c.o.m. a decorrere dall'anno 2003: portata che, incidendo sull'interesse della parte appellante al riconoscimento della medesima c.o.m. anche per gli anni precedenti, avrebbe imposto una immediata reazione impugnatoria avverso la nota suindicata, "in parte qua", da parte della stessa.

Deve inoltre osservarsi che, anche assumendo che dalla nota suindicata siano evincibili i lamentati elementi di contraddittorietà segnalati dalla parte appellante (sulla scorta della diversa valutazione che l'Amministrazione avrebbe fatto, agli effetti determinativi della c.o.m., di un medesimo apparato organizzativo, con particolare riguardo al personale chiropratico), il carattere vincolato (o, al più, tecnico-discrezionale) sul punto dell'azione amministrativa censurata (trattandosi di verificare se, per il periodo oggetto di controversia, il mancato riconoscimento dei chiropratici sia o meno conforme ai criteri generali fissati dalla delibera di G.R. n. 377/1998) impone di spostare il fuoco della controversia sulla individuazione dei criteri che devono governare la determinazione della c.o.m. relativamente agli anni 2000 e 2001 e sulla correttezza dell'assunto dell'Amministrazione appellata, secondo cui gli stessi sarebbero estranei alle previsioni della suindicata delibera.

In proposito, deve subito osservarsi che il T.A.R., con la sentenza n. 2924/2017, ha fondato le sue conclusioni sui seguenti argomenti, recependoli dalla precedente sentenza del medesimo Tribunale n. 5142 del 7 novembre 2016:

- la discrezionalità di cui gode l'Amministrazione sanitaria in Campania, in sede di riconoscimento della c.o.m., è di natura esclusivamente tecnica, dovendo la stessa limitarsi ad attività di ricognizione ed accertamento alla stregua di criteri generali, nello specifico contenuti nella delibera della Giunta regionale della Campania del 3 febbraio 1998, n. 377;

- ne discende che non costituisce pertinente oggetto di indagine in questa sede l'interrogativo se i chiropratici siano formalmente abilitati e tecnicamente in possesso dei requisiti per eseguire prestazioni di manipolazione della colonna vertebrale e trazione scheletrica, presenti nel nomenclatore tariffario e quindi erogabili a carico del SSR, trattandosi di una questione che invece investe la stessa disciplina generale - ossia la delibera della Giunta regionale della Campania n. 377 del 1998 - le cui prescrizioni devono essere scrupolosamente osservate dall'amministrazione sanitaria;

- non sussiste la predicata illegittimità della delibera della Giunta regionale della Campania n. 377/1998, laddove confliggerebbe con i principi invalsi a livello di normativa statale con riguardo alla figura dei chiroterapisti;

- a livello di normativa statale, il d.p.c.m. 29 novembre 2001, che definisce ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992 e del D.L. n. 347 del 2001 i livelli essenziali di assistenza sanitaria, secondo quanto riportato nei relativi allegati, annovera la chiropratica fra le medicine non convenzionali (agopuntura fitoterapia, medicina antroposofica, medicina ayurvedica, omeopatia) nell'elenco delle prestazioni totalmente escluse dai LEA (allegato 2A, lett. c);

- milita, altresì, il rilievo che l'art. 2, comma 355, della L. n. 244 del 2007 ("E' istituito presso il Ministero della Salute, senza oneri per la finanza pubblica, un registro dei dottori in chiropratica. L'iscrizione al suddetto registro è consentita a coloro che sono in possesso di diploma di laurea magistrale in chiropratica o titolo equivalente. Il laureato in chiropratica ha il titolo di dottore in chiropratica ed esercita le sue mansioni liberamente come professionista sanitario di grado primario nel campo del diritto alla salute, ai sensi della normativa vigente. Il chiropratico può essere inserito o convenzionato nelle o con le strutture del Servizio sanitario nazionale nei modi e nelle forme previsti dall'ordinamento. Il regolamento di attuazione del presente comma è emanato, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 3, dal Ministro della salute"), pur individuando il registro dei dottori in chiropratica, non ne disciplina le attribuzioni rinviando ad atti successivi la regolamentazione del relativo profilo professionale. Detti atti risultano indispensabili ai fini della possibilità di esercitare concretamente detta professione. Inoltre, poichè allo stato attuale non sono attivi i corsi di laurea magistrale in chiropratica, non è possibile, al momento, individuare i titoli equipollenti. In assenza del regolamento di attuazione che individui il profilo professionale del dottore in chiropratica e l'ordinamento didattico per conseguire il relativo titolo di professionista sanitario di primo grado, le prestazioni fornite dai chiropratici secondo l'ordinamento italiano non possono essere comprese tra le prestazioni sanitarie" (cfr., sul punto, Cass. civ., sez. VI, n. 22812/2014);

- privo di pregio è pure l'argomento secondo cui i più brevi tempi di esecuzione delle prestazioni di mobilizzazione della colonna vertebrale e di trazione scheletrica giustificherebbe il maggior rendimento ottenuto dalla STATIC nel settore della F., tenuto conto che la delibera della Giunta regionale della Campania n. 377/1998 non stabilisce distinzioni di sorta al riguardo.

Ai suindicati argomenti la parte appellante contrappone, con entrambi gli appelli, quelli a sostegno della tesi interpretativa contraria, così sintetizzabili:

- la normativa di settore non lascia spazio a dubbi o interpretazioni di sorta circa la piena configurabilità dei chiropratici nella c.o.m. di un centro accreditato;

- con la legge finanziaria per il 2008 è stato definitivamente sancito il principio di diritto per cui il chiropratico è un professionista sanitario di grado primario nel campo del diritto alla

salute, allorchè espressamente afferma che "il chiropratico può essere inserito o convenzionato nelle o con le strutture del Servizio sanitario nazionale nei modi e nelle forme previsti;

- detto utilizzo trova già la sua disciplina di dettaglio nella normativa di settore sul computo della c.o.m.;

- l'odierno appellante - infatti - è accreditato per la branca di "Terapia Fisica e Riabilitazione" e nell'ambito di detta branca, svolge, avvalendosi per l'appunto dell'attività di chiropratici, due tipi di prestazioni: a) mobilizzazione della colonna vertebrale e b) trazione scheletrica;

- dette prestazioni, nel nomenclatore tariffario, sono contraddistinte con il codice 93.15 (mobilizzazione della colonna vertebrale) e con il codice 93.43.1 (trazione scheletrica);

- il D.M. Sanità del 22 luglio 1996, avente ad oggetto "Prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale erogabili nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale e relative tariffe", ha previsto, nelle note esplicative, che le prestazioni contraddistinte con i codici 93.15 e 93.16 "devono intendersi erogabili secondo il parere del Consiglio superiore della sanità e la circolare del Ministero della sanità n. 66 del 12 settembre 1984 da parte dei soggetti dotati dei titoli professionali previsti dalla normativa vigente": tali soggetti, ovvero figure professionali, sono i dottori in chiroterapia;

- nello specifico, la circolare del Ministero della Sanità n.66/1982 si occupa proprio dell'utilizzo dei dottori in chiroterapia da parte delle strutture che operano in regime di convenzionamento esterno, ossia di accreditamento provvisorio con il Servizio Sanitario Nazionale, e ne riconosce il legittimo

utilizzo secondo le indicazioni del Consiglio Superiore della Sanità;

- il nomenclatore approvato con D.M. del 1996 è stato recepito dalla Regione Campania con

D.G.R.C.n.1874/1998, mentre la DGRC 377/1998 ha regolamentato la quantità e la qualità delle prestazioni erogabili da parte delle strutture private, stabilendo, per ciascuna branca, i carichi di lavori massimi erogabili, parametrati ai coefficienti di personale, nonché alla dotazione strutturale e

all'organizzazione tecnologica, partendo dal presupposto - dichiaratamente espresso - che le strutture possono erogare tutte le prestazioni di cui al Nomenclatore Tariffario, e relative, ovviamente, alla branca per cui sono accreditate;

- ne deriva che, considerato che il Nomenclatore espressamente riconosce, nell'ambito della branca di Riabilitazione e Terapia Fisica, l'utilizzo dei Dottori in Chiroterapia per le prestazioni di mobilizzazione della colonna vertebrale e trazione scheletrica, e che la DGRC 377/98 regolamenta il calcolo della capacità operativa secondo le prestazioni che ogni struttura eroga in ragione del nomenclatore e per la branca di appartenenza, non può non stigmatizzarsi l'illegittimità dei provvedimenti impugnati;

- con la successiva circolare del 20 giugno 2006 si è chiarito, ancora una volta, l'utilizzo dei chiropratici anche alla luce della delibera di G.R. n.377/1998;

- non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali, ovvero non riconoscere figure professionali, come inevitabilmente accadrebbe se in astratto si volesse ritenere che la DGRC

377/98 non dia ingresso alla figura dei chiropratici.

Ebbene, le deduzioni della parte appellante non sono meritevoli di accoglimento: ciò a prescindere dal fatto che le stesse potrebbero trovare un ostacolo insuperabile nel mancato tempestivo esperimento, nei confronti della delibera di G.R. n. 377/1998, dei mezzi di impugnazione, come eccepito dall'Amministrazione appellata, rappresentando le sue prescrizioni - come meglio si vedrà infra - un riferimento essenziale al fine di verificare la fondatezza della pretesa di parte appellante.

Deve premettersi che L. n. 244 del 2007, ove recante prescrizioni favorevoli alla parte appellante, non potrebbe essere invocata ai fini della decisione della controversia, in quanto priva di valenza retroattiva ed inerendo la controversia alle prestazioni eseguite dalla appellante nel biennio 2000-2001.

Né erano presenti nell'ordinamento univoche indicazioni in ordine alla inclusione delle prestazioni eseguite dai chiropratici nel novero di quelle atte a generare, nell'ambito di un rapporto di provvisorio accreditamento, il diritto alla corrispondente remunerazione.

In particolare, è vero che l'invocato D.M. del 22 luglio 1996, recante l'approvazione del nomenclatore tariffario, menziona con il codice 93.15 le prestazioni di "mobilizzazione della colonna vertebrale" e specifica, nelle note esplicative, che le stesse "devono intendersi erogabili secondo il parere del Consiglio Superiore di Sanità sez. III e la circolare del Ministero della Sanità n. 66 del 12.9.84, da parte dei soggetti dotati dei titoli professionali previsti dalla normativa vigente".

Tuttavia, la circolare oggetto di rinvio si pronuncia, genericamente, in tema di "indicazioni e limiti della chiropratica" e non, specificamente, in tema di rilevanza delle prestazioni eseguite dai chiropratici nell'ambito del rapporto di accreditamento ed ai fini della determinazione della c.o.m.: tanto che essa, nel definire i requisiti di personale che la struttura deve possedere al fine di erogare le suddette prestazioni nell'ambito di un rapporto di convenzionamento con il SSN, conferisce un ruolo meramente eventuale e subordinato ai chiropratici, limitandosi a "consentirne" la presenza nel centro ma senza affermare che le prestazioni dagli stessi svolte siano poste a carico del SSN ("per quanto concerne il personale paramedico dovranno essere previsti un tecnico di radiologia e terapisti della riabilitazione in numero adeguato", aggiungendo che "nelle more di una specifica regolamentazione e nel rispetto degli accordi internazionali vigenti, potrà essere consentita anche la presenza di chiropratici in possesso di titoli accademici e professionali che autorizzino l'esercizio della chiroprassi nei paesi ove essi siano stati rilasciati; ciò dovrà risultare da una attestazione delle autorità consolari italiane").

Occorre inoltre osservare che il nomenclatore tariffario, con il connesso elenco delle prestazioni erogabili a carico del SSN, ha costituito oggetto di recepimento a livello regionale, avvenuto con la D.G.R.C. n.1874/1998, approvativa del nomenclatore tariffario per la Regione Campania, la quale tuttavia non riproduce pedissequamente quello nazionale nella parte recante le note esplicative (laddove rinviano alla circolare ministeriale n. 66/1984 e, quindi, ammettono la presenza dei chiropratici nelle strutture convenzionate ai fini della erogazione delle prestazioni di "mobilizzazione della colonna vertebrale").

In ogni caso - e tale rilievo vale a destituire di fondamento le deduzioni di parte appellante, secondo cui gli atti impugnati violerebbero il criterio di riparto delle competenze statali e regionali in materia sanitaria e di riconoscimento delle figure professionali abilitate ad erogare prestazioni sanitarie nell'ambito di un rapporto di accreditamento - i principi regolatori della competenza concorrente attengono alla potestà legislativa, mentre gli stessi non potrebbero essere invocati per affermare la prevalenza, nei confronti delle scelte regionali, di una regola sancita con una mera circolare, anche se recepita con decreto ministeriale.

Né del resto la parte appellante allega univocamente - né comunque dimostra - che le prestazioni da essa erogate, ed in particolare quelle di "manipolazione della colonna vertebrale", possano essere eseguite esclusivamente dai chiropratici: sì che l'inclusione delle stesse nell'ambito del tariffario regionale, quindi nel novero delle prestazioni eseguibili dai centri provvisoriamente accreditati con oneri a carico del S.S.N., non comporta necessariamente che tutti i loro esecutori, ed in particolare quelli muniti della qualifica di chiropratico, siano computabili ai fini della determinazione della c.o.m., indipendentemente da quanto previsto dalle pertinenti prescrizioni regionali.

Per contro, ad ostacolare la pretesa attorea, viene in rilievo il D.P.C.M. del 29 novembre 2001, il quale definisce i livelli essenziali di assistenza sanitaria (e quindi recante, esso sì in maniera vincolante nei confronti delle Regioni, i limiti di compatibilità della spesa sanitaria regionale con la potestà normativa statale), laddove, come evidenziato dal T.A.R., annovera la chiropratica fra le medicine non convenzionali cui ineriscono "prestazioni totalmente escluse dai LEA" (cfr. allegato 2A, lett. c).

In altre parole, un conto è la (indiscussa) remunerabilità delle prestazioni di "manipolazione della colonna vertebrale" eseguite dalle strutture provvisoriamente accreditate e da parte del personale che concorre, sulla base dei criteri generali fissati con delibera di G.R., alla determinazione della c.o.m. della singola struttura, un altro il riconoscimento delle prestazioni eseguite dai chiropratici ovvero, più in generale, della chiropratica come pratica sanitaria suscettibile di generare il diritto alla remunerazione (e dei chiropratici come soggetti che concorrono ad integrare le risorse funzionali della struttura ai fini del computo della c.o.m.).

In conclusione, le sentenze appellate, laddove individuano nella delibera di G.R. n. 377/1998 - che, si ripete, non annovera i chiropratici nell'ambito del personale da considerare ai fini della determinazione della c.o.m. - un ostacolo all'accoglimento della domanda attorea, resistono alle censure di parte appellante, con la conseguente infondatezza in parte qua degli appelli: deve solo aggiungersi che, a differenza di quanto sostenuto dalla parte appellante, i chiropratici non potrebbero nemmeno ritenersi ricompresi nella categoria dei "terapisti della riabilitazione", cui la citata delibera rinvia, in considerazione della specialità della disciplina chiropratica e del fatto che, alla data di adozione della delibera suindicata, il riconoscimento giuridico di quest'ultima doveva considerarsi in progress, imponendo quindi la sua espressa considerazione (nella specie, come si è detto, assente) in sede di regolamentazione della c.o.m..

La reiezione delle censure suindicate non può non determinare il rigetto dei motivi di appello formulati avverso la sentenza n. 5142/2016, laddove ha dichiarato inammissibili il primo ed il quarto atto per motivi aggiunti, fondandosi l'appello, in parta qua, sulla contestazione della estraneità alla c.o.m. delle prestazioni rese dai chiropratici, sulla quale si è diffusamente detto in precedenza.

Devono adesso esaminarsi i motivi di appello con i quali viene censurata la sentenza n. 2924/2017 nella parte in cui ha escluso la sussistenza degli errori di calcolo della c.o.m. lamentati dalla parte ricorrente, laddove, con riferimento alla branca della Radiologia diagnostica, pur evidenziando che, come si desume dalla documentazione depositata in giudizio, il radiologo in organico era tenuto a 10 ore settimanali, mentre i due tecnici di radiologia in organico erano tenuti a 60 ore settimanali, afferma doversi escludere che le due suindicate tipologie di figure professionali siano tra loro assimilabili e che, quindi, le relative prestazioni siano cumulabili ai fini della c.o.m., dovendo, piuttosto, considerarsi complementari.

In proposito, la parte appellante, oltre a lamentare la carenza motivazionale degli atti impugnati, richiama la DGRC n. 1036/2000, rubricata "Ulteriori precisazioni in ordine alle modalità di erogazione delle prestazioni medico specialistiche ambulatoriali, di diagnostica per immagini e di analisi cliniche", laddove, con riguardo alla radiologia diagnostica, dopo avere previsto che "i tecnici di radiologia medica potranno prestare la loro opera professionale in forza di rapporti di collaborazione coordinata e continuata, sempre nel rispetto di tutte le norme disciplinanti la materia (incompatibilità, unicità del rapporto, etc..)", precisa che "tenuto poi conto che allo svolgimento dell'attività legate alle prestazioni di cui sopra prestano contemporaneamente la loro opera professionale, per la parte di specifica competenza, medici radiodiagnostici, medici radioterapisti, medici nucleari e tecnici sanitari di radiologia medica, il monte ore/operatore da prendere a base per il calcolo della capacità operativa massima complessiva della struttura sarà così determinato: ore di servizio complessivamente prestate e documentate dai medici radiodiagnostici; ore di servizio complessivamente prestate e documentate dai medici radioterapisti; ore di servizio

complessivamente prestate e documentate dai medici nucleari; ore di servizio complessivamente prestate e documentate dai tecnici di radiologia medica", desumendone che le prestazioni eseguite dal tecnico di radiologia vanno computate nel monte ore ai fini del calcolo della c.o.m..

L'appello n. 532/2018, in parte qua, è meritevole di accoglimento, tenuto conto che dagli atti impugnati non si evincono i criteri utilizzati al fine di computare il monte orario rilevante ai fini della determinazione della c.o.m. della struttura appellante relativamente alla branca di radiologia diagnostica, imponendosi quindi la rinnovazione delle determinazioni amministrative censurate nel pieno rispetto dei principi desumibili dalla menzionata DGRC n. 1036/2000, come dianzi richiamati.

Ne consegue l'accoglimento del ricorso n. 8332/2001, con il conseguente annullamento dell'atto, con esso impugnato (nota della ASL Napoli 1 prot. n. (...) del 21 giugno 2001), con il quale viene comunicato il superamento della c.o.m. relativamente alla branca di Radiologia, nonché degli atti consequenziali, compresi quelli con i quali viene disposto il recupero delle somme erogate, nella misura in cui trovino fondamento nella suddetta determinazione.

Deve invece essere respinto il motivo di cui all'appello n. 532/2018, con il quale viene dedotto che, con riferimento al contestato superamento della c.o.m. per la branca di fisiochinesiterapia, la ASL, con i provvedimenti gravati, non ha offerto alcuna motivazione che potesse ricondurre la decurtazione delle prestazioni di F. alla valutazione dell'organizzazione strutturale, tecnologica e di personale posseduta dal ricorrente, tale da giustificare un addebito pari a circa il 60% del fatturato prodotto nella branca di F..

In particolare, deduce la parte appellante che, considerato che le prestazioni erogate dalla Static, e cioè la mobilizzazione della colonna vertebrale e la trazione scheletrica, richiedono

tempi di esecuzione brevi, che permettono di erogare circa 12 prestazioni/ora, l'appellante poteva, e può, erogare annualmente circa 300.000 prestazioni, per cui il centro ha erogato prestazioni nell'ambito della sua capacità operativa, rispondente alla sua organizzazione strutturale, tecnologica e di personale posseduta al 31.12.1997.

Come si è detto, tuttavia, il superamento della c.o.m. è ancorato al mancato riconoscimento delle prestazioni eseguite dai chiropratici, ovvero dalla mancata considerazione degli stessi ai fini del calcolo della c.o.m., non rilevando quindi i profili attinenti alla produttività della struttura, sui quali si incentra la censura in esame.

Infine, deve essere respinto il motivo con il quale, nell'ambito dell'appello n. 3796/2017, viene censurata la declaratoria di difetto di giurisdizione pronunciata dal T.A.R. in relazione alla domanda avente ad oggetto l'accertamento dell'indebito arricchimento di cui si sarebbe avvantaggiata la P.A. e le modalità applicative della compensazione operata con le note di recupero.

Invero, quanto al primo punto, la domanda intesa ad accertare l'indebito arricchimento dell'Amministrazione è del tutto disgiunta dall'esercizio del potere (di recupero di somme corrisposte in eccedenza rispetto alla c.o.m.), in quanto si fonda su una fattispecie autonoma che presuppone l'esaurimento della vicenda potestativa, nella specie correlata alla corretta individuazione delle modalità di determinazione della c.o.m..

Quanto invece alle censure attinenti alle modalità applicative della compensazione, anche esse ineriscono ad un istituto dai connotati esclusivamente civilistici, incentrato sugli effetti reciprocamente estintivi di due contrapposte posizioni creditorie, la cui operatività non chiama in causa l'esercizio del potere pubblico (ma semmai, come già detto, presuppone che le posizioni reciproche di dare ed avere della parte pubblica e di quella privata si siano definitivamente cristallizzate per effetto della conclusiva spendita di quel potere).

Deve solo aggiungersi, sul punto, che analoga declaratoria di difetto di giurisdizione è stata pronunciata dal T.A.R. con la successiva sentenza n. 2924/2017, senza che la parte appellante la facesse oggetto di un espresso motivo di censura (nell'ambito del corrispondente appello n. 532/2018).

Infine, l'esito della controversia giustifica infine la compensazione delle spese sostenute dalle parti relativamente ai due gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa riunione degli stessi:

- accoglie in parte l'appello n. 532/2018 ed annulla per l'effetto, in riforma della sentenza n. 2924/2017, la nota della ASL Napoli 1 prot. n. 6208 del 21 giugno 2001, nella parte in cui viene comunicato il superamento della c.o.m. relativamente alla branca di Radiologia, nonché gli atti consequenziali, compresi quelli con i quali viene disposto il recupero delle somme erogate, nella misura in cui trovino fondamento nella suddetta determinazione, salve le ulteriori determinazioni dell'Amministrazione;

- respinge per il resto gli appelli;

- compensa le spese del giudizio di primo e di secondo grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani, Presidente

Umberto Realfonzo, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere

Stefania Santoleri, Consigliere

Ezio Fedullo, Consigliere, Estensore


Avv. Francesco Botta

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